Un percorso - segnalato da "vele" dotate di QrCode - nella storia, a piedi o in bici, organizzato gratuitamente da Roma Capitale nell'ambito della Settimana europea della mobilità.
Le guide vi accompagneranno da piazza dei Cinquecento attraverso il Rione Monti verso i Fori Imperiali, fino ad arrivare alla casina del Vignola Boccapaduli.
Max 20 persone a guida, per prenotazioni scrivere a marco.giberti@romamobilita.it nell'oggetto scrivere " Percorso guidato Argiletum-prenotazione e specificare nella mail a quale delle due visite si vuole partecipare.
Così chiamato perché comprendeva originariamente i colli Viminale, Quirinale, parte dell’Esquilino e del Celio, Monti è il più antico tra i rioni di Roma, costituitosi nel 1743. In età romana quest’ampio territorio comprendeva la malfamata Suburra, a ridosso dei Fori, ma anche le ricche domus e le ville dei personaggi illustri, ed era percorso da vie quali l’Argiletum, il Vicus Patricius e la via Biberatica.
A mantenere vivo un territorio spopolato nel corso del Medioevo fu la presenza delle importanti Basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, da sempre meta dei devoti, lo sviluppo urbanistico dell’Ottocento, poi, trasformò l’intera zona con l’aggiunta di nuove direttrici: le odierne via Nazionale e via Cavour. Oggi si può scegliere se muoversi lungo via Urbana, via del Boschetto, via dei Serpenti o via Panisperna oppure perdersi nei pittoreschi vicoli tra rovine e botteghe artigiane, madonnelle e locali a caccia di scorci indimenticabili.
Targa del rione Monti in piazza di Porta San Giovanni )
(Oppure Stemma di Monti :MRd 9452)
Via Urbana deve il suo nome a Papa Urbano VIII (Pontefice dal 1623 al 1644), nato Maffeo Vincenzo Barberini, il quale promosse importanti lavori di ristrutturazione del percorso che ricalcava il primo tratto dell’antico Vicus Patricius che andava dall’Argiletum fino a Porta Viminalis (l’ultimo tratto è oggi occupato da via Massimo D’Azeglio). Si snocciolano lungo il suo percorso, tra le arcate di ingresso dei palazzetti signorili e le edicole sacre, l’antica chiesa di Santa Pudenziana, più volte restaurata nel corso dei secoli, la chiesa del Bambino Gesù col Monastero delle Oblate e quella di San Lorenzo.
Davanti al Monastero del Bambino Gesù la pietra d’inciampo dedicata a don Pietro Pappagallo ci ricorda il sacerdote che qui visse e prestò soccorso ai perseguitati dal Nazi-fascismo prima di morire tra i 335 martiridelleFosse Ardeatine delleFosse Ardeatine
Chiesa del Bambin Gesù a via Urbana con religiose e popolani
Così denominata per la vicinanza con il seicentesco Collegio dei Neofiti o Catecumeni, la fontana venne disegnata dall’architetto Giacomo della Porta (1533-1602) nel 1588.
Venne alimentata dall’acqua Felice nell’ambito del programma di riqualificazione della città promosso da papa Sisto V Peretti (1585-1590).
L’opera fu iniziata dallo scalpellino Battista Rusconi, mentre la sistemazione della scalinata si deve al successivo intervento di Girolamo de Rossi che nel 1595 operò per “spianare, assettare e nettare la scalinata a torno la fontana”.
La fontana si compone di una vasca ottagonale adorna di riquadri con l’emblema del pontefice e gli stemmi del Comune. Al centro si levano due balaustri sovrapposti che sostengono altrettanti catini. Mentre il bacino inferiore, caratterizzato da quattro mascheroni grotteschi che versano acqua, spetta all’originaria sistemazione, quello superiore ha sostituito un calice sormontato dal trimonzio dello stemma Peretti nel corso di un restauro condotto durante il pontificato di Innocenzo XI Odescalchi (1676-1689).
La fontana è stata sottoposta a restauro nel 1997, anno nel quale l’area circostante è stata ripavimentata e pedonalizzata.
Fontana dei Catecumeni di piazza Madonna dei Monti)
Il Teatro dell’Opera, per il periodo compreso tra la sua edificazione (1879), voluta da Domenico Costanzi (1810-1898), e il 1926, anno in cui il teatro fu acquistato dall’allora Governatorato di Roma, portò il nome del suo costruttore. La sua realizzazione venne affidata all’architetto milanese Achille Sfondrini (1836-1900), specializzato nella costruzione e nel restauro di teatri.
Fu inaugurato il 27 novembre 1880 con l’opera Semiramide di G. Rossini, alla presenza dei sovrani d’Italia. Sfondrini progettò il teatro privilegiando soprattutto il risultato acustico e concependo la struttura interna come una “cassa armonica”; la forma a ferro di cavallo ne è una delle prove più evidenti. In origine il teatro, in grado di accogliere 2212 spettatori, disponeva di tre ordini di palchi, di un anfiteatro e di due gallerie separate; il tutto sormontato dalla cupola, di pregevole fattura, affrescata da Annibale Brugnoli.
Il Teatro ospitò “prime assolute” di opere, quali Cavalleria Rusticana di P. Mascagni (17 maggio 1890) e Tosca di G. Puccini (14 gennaio 1900).
Con l’acquisto del Costanzi da parte del Comune di Roma, il teatro diventò “Teatro Reale dell’Opera” e ne fu disposta una parziale ristrutturazione, affidata all’architetto Marcello Piacentini. Fu nuovamente inaugurato il 27 febbraio 1928 con l’opera Nerone di A. Boito, diretta dal maestro Gino Marinuzzi.
La ristrutturazione comportò notevoli cambiamenti: l’ingresso fu spostato dalla parte diametralmente opposta rispetto all’originario, venne acquisito il terreno su via del Viminale e realizzata Piazza Beniamino Gigli e conseguentemente la nuova facciata in stile neorinascimentale, costituita da due avancorpi laterali, sormontati da timpani a lunetta e da un corpo centrale scandito da due ordini di portici.
Con il risultato referendario del 1948 e la conseguente proclamazione della Repubblica nella denominazione del Teatro dell’Opera decade l’aggettivo “Reale”. Tra il 1958 ed il 1960, in occasione delle Olimpiadi di Roma, l’edificio teatrale subisce nuove trasformazioni sempre ad opera dell’architetto Marcello Piacentini.
Teatro dell'Opera/ facciata principale
Tra le più antiche basiliche cristiane di Roma, Santa Pudenziana trae origine dal titulus Pudentis ovvero la domus del senatore Pudente convertito al cristianesimo, secondo la tradizione. insieme alle figlie Pudenziana e Prassede.
L’originario luogo di culto cristiano si ergeva su una casa romana in seguito convertita in edificio termale nel quale uno degli ambienti venne dedicato al culto cristiano da papa Pio I (140-155).
Dedicato a San Pietro da Papa Siricio (384-399), secondo quanto riportato dal Liber Pontificalis, il primigenio luogo di culto venne trasformato in basilica cristiana dai presbiteri Ilicio, Leopardo e Massimo e da questi intitolata a Santa Pudenziana. L’edificio cristiano ospita uno tra i più antichi mosaici absidali datato tra il 410 e il 417 d.C. realizzato, quindi, durante gli anni di papa Innocenzo I.
Il mosaico, sebbene rimaneggiato nel corso dei secoli, rappresenta Cristo in trono con un libro nel quale vi è scritto “Dominus Servator Ecclesiae Pudentianae” cioè “Il Signore ha salvato la chiesa di Pudente”. Cristo è rappresentato benedicente accanto agli apostoli (ne sono rimasti 10 in seguito ai lavori di Francesco Capriani detto “il Volterra” avvenuti nella seconda metà del XVI secolo) e a due figure femminili forse Pudenziana e Prassede più significativamente simboli della “Chiesa dei Gentili” e della “Chiesa degli Ebrei” nell’atto di offrire corone al Redentore. Sullo sfondo è rappresentata una città forse Gerusalemme dove risalta una croce gemmata secondo la tradizione fatta erigere sul Calvario dall’imperatore Teodosio II.
Sebbene soggetta, nel corso dei secoli, a numerosi interventi di ristrutturazione e restauro Santa Pudenziana conserva ancora i tratti originari rappresentando oggi una delle testimonianze meglio conservate della Roma paleocristiana.
Chiesa di Santa Pudenziana con suore e popolani)
Il Foro di Nerva è il quarto dei Fori Imperiali, grandi piazze circondate da portici e arricchite da templi ed edifici, destinate nell’antica Roma alla vita pubblica. Ognuno di essi fu voluto o inaugurato da un imperatore, dal quale ha preso il nome.
In particolare, il Foro di Nerva fu iniziato da Domiziano (81-96 d.C.) ma fu inaugurato dal suo successore Nerva (96-98 d.C.) nel 97 d.C.
Si trattava di uno spazio stretto e profondo di circa 45×170 metri, circondato sui lati lunghi da colonne aggettanti: ne restano due del lato sud, ben visibili da Via Alessandrina, che per il loro stato di rudere sono state soprannominate “Colonnacce”.
Nel fregio posto al di sopra delle Colonnacce è raccontato il mito di Aracne, secondo le Metamorfosi di Ovidio: la fanciulla aveva osato sfidare e vincere Minerva nell’arte della tessitura ed era stata per questo punita dalla dea con la trasformazione in ragno (aracne in greco antico). Al di sopra del fregio si conserva ancora un rilievo che mostra una figura femminile con elmo e scudo: interpretata da sempre come un’immagine di Minerva, essa è stata invece recentemente identificata con la personificazione dei Pirusti, antica popolazione della Penisola Balcanica assoggettata dai Romani.
Il lato est del Foro era chiuso dal Tempio di Minerva, dea della guerra, alla quale Domiziano era molto devoto. Restato integro per secoli, fu demolito tra la fine del XVI secolo e il principio del successivo per il recupero dei preziosi marmi con cui era costruito.
Al di sotto il Foro di Nerva corre ancora oggi la Cloaca Maxima, monumentale condotto fognario che la tradizione faceva risalire all’epoca dei re, più esattamente al VI secolo a.C.: essa proviene dalla Suburra (quartiere della Roma antica corrispondente grosso modo all’attuale Rione Monti), attraversa il Foro Romano e il Velabro per andare a sfociare nel Tevere, subito a valle dell’Isola Tiberina.
Veduta ricostruttiva del Foro di Nerva (Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali-Ufficio Fori Imperiali)
La Torre dei Conti fu fatta costruire da papa Innocenzo III Conti (1198-1216) per il fratello Riccardo verso il 1203. Intorno ad essa si andò formando sin da subito un complesso abitativo fortificato, dimora urbana della famiglia dei Conti fino a tutto il Basso Medioevo. L’edificio aveva in origine una struttura “a cannocchiale”, cioè composta da tre corpi progressivamente rientranti dal basso verso l’alto, testimoniata da numerosissime vedute storiche. La parte superiore crollò a seguito del terremoto del 1348, come raccontato da Francesco Petrarca. Un ulteriore, gravissimo crollo avvenuto nel 1644 portò alla demolizione parziale della Torre che minacciava rovina e che fu quindi ridotta all’altezza che possiede ancora oggi.
Alla fine del XIX secolo la struttura ha subito pesanti interventi di trasformazione per ricavare appartamenti, con il totale stravolgimento della suddivisione interna dei livelli, l’inserimento di solai, la costruzione di una scala e l’apertura di nuove finestre. La suddivisione attuale in sei piani più il terrazzo appartiene a questa fase.
Infine, negli Anni Trenta del secolo scorso la Torre fu isolata dagli edifici circostanti nel più generale contesto dell’apertura di Via dei Fori Imperiali. Scavi archeologici condotti nei suoi sotterranei nel 1934 hanno portato alla scoperta dell’esedra N/E del Templum Pacis (71-75 d.C.), l’unica superstite: si tratta di un vano quadrangolare, in origine aperto sul portico e verso la piazza del Templum.
Torre dei Conti – Lato su Largo Corrado Ricci (Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali-Ufficio Fori Imperiali)
La strada fu inaugurata nel 1932 con il nome di “Via dell’Impero” e fu aperta per unire Piazza Venezia al Colosseo. Per poterla realizzare fu necessario demolire il Quartiere Alessandrino, così chiamato dal soprannome del cardinal Michele Bonelli (nato presso Alessandria), il quale nel 1584 aveva dato impulso all’urbanizzazione di un’area in antico compresa nel Foro di Augusto ma a quel tempo occupata da un vasto terreno incolto chiamato “Orto di San Basilio”. Qui il cardinale aveva fatto anche realizzare Via Alessandrina, in parte ancora oggi superstite.
La demolizione del Quartiere iniziò nel 1924 e procedette velocemente. Gli abitanti furono allontanati e gli edifici furono rasi al suolo per far posto alla nuova via e ai giardini che la avrebbero fiancheggiata. Degli edifici si conservarono solo le cantine e i pavimenti dei piani terra e dei cortili, in parte ancora sepolti sotto Via dei Fori Imperiali e in parte riportati alla luce dagli scavi realizzati dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali dal 1998.
Via dei Fori Imperiali in una fotografia del 1935 (Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali-Museo di Roma, Archivio Fotografico, AF 24948)